CASTELFRANCO VENETO – Al Museo Casa Giorgione è in corso “Il volo di Angelo”, una mostra incentrata sulla figura di Angelo Gatto, pluripremiato pittore e mosaicista di Castelfranco Veneto che ha vissuto la drammatica esperienza di Internato militare in Germania, culminata con la detenzione nel famigerato lager di Bergen – Belsen.
“Il volo di Angelo”, si legge nella recensione comparsa su Marcadoc.com, «è la prosecuzione dell’attività testimoniale da parte di Alessandro Gatto, figlio di Angelo, che ha voluto ripercorrere attraverso 46 straordinarie tavole a colori l’incredibile odissea del padre, benedetta dalla sopravvivenza ma carica di ricordi angoscianti e spunti di speranza».
In occasione della mostra, inaugurata il 4 settembre e prorogata fino al 13 ottobre, è stato pubblicato un catalogo-narrazione «un memoriale di ciò che è necessario ricordare, una convulsa ricerca di libertà trasmessa attraverso l’arte dal padre al figlio». L’apparato testuale di Marco Ballestracci è alla base dello spettacolo teatrale «Il volo di Angelo» che lo stesso Ballestracci ha portato in scena lunedì 23 settembre nell’ambito della Maratona di lettura “Il Veneto legge” 2019, presso il Teatro Accademico di Castelfranco Veneto. La mostra è stata a cura dell’Assessorato alla Cultura – Città di Castelfranco Veneto; Museo Casa Giorgione; Rotary Club Castelfranco-Asolo.
I perché della mostra spiegati da Alessandro Gatto, pure lui pittore pluridecorato come il padre, nella introduzione al catalogo
«Questo racconto, che può sembrare una favola, è una storia vera di orchi e prigioni. È la rappresentazione di ricordi ed emozioni che ho dentro fin da bambino. La vicenda di Angelo Gatto, mio padre, della sua deportazione nei lager nazisti, dei patimenti, e soprattutto del suo contatto quotidiano con la morte, ha segnato inevitabilmente la sua esistenza come quella della sua famiglia. Non mi abbandonerà il ricordo dei suoi incubi notturni, dei suoi lamenti di animale ferito, spaventato. Non dimenticherò la voce calma di mia madre che lo desta per farlo tornare da quei luoghi: “Tssssss, Angelo…, Angelo…”.
“Cosa aveva papà stanotte?” “Sognava ancora di essere in prigionia.” Oltre non si andava. Lui ogni tanto raccontava brevi aneddoti. Il più delle volte a tavola. L’argomento era la fame patita. Proprio perché raccontava così poco io avevo paura. Lo vedevo come una grande porta socchiusa. Intuivo, al di là, qualcosa di spaventoso, ma non sapevo cosa. La morte ha cominciato allora ad angosciarmi. Non ho mai avuto il coraggio di appoggiarmi, di toccare quella porta, di abbracciarla. Solo da adulto ho conosciuto i fatti terribili accaduti a mio padre nei due anni trascorsi in Germania. Un viaggio molto più doloroso di quello di Dante nei gironi dell’Inferno. Quando ho capito che papà ci stava lasciando e non avrebbe più raccontato la sua immane esperienza ho deciso che avrei fatto ciò che potevo affinché l’oblio non avesse la meglio.
Per mio padre, per le vittime di questo esodo tragico, per la mia liberazione».
Alessandro Gatto