«All’appello la maestra non mi chiamò». A Deruta due sopravvissuti alla Shoah

DERUTA (PG) – Già ieri con la consegna della Cittadinanza Onoraria a Sami Modiano e Piero Terracina testimoni dell’Olocausto, sopravvissuti ai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau, la comunità derutese ha avuto il privilegio di essere testimone di un momento storico. Oggi la stessa possibilità è stata data a 1000 studenti provenienti da Deruta, Perugia e Foligno che hanno avuto l’opportunità di parlare e fare domande a Sami e Pietro la cui amicizia è cominciata proprio nei campi di deportazione e proseguita per tutta la vita. Intorno ai 13 anni i due testimoni si sono trovati a pensare che la loro vita sarebbe finita da lì a poco, solo perché qualcuno aveva deciso che il popolo ebreo andava annientato. Questo è il motivo della morte di circa 6 milioni di persone. Michele Toniaccini sindaco di Deruta, salutando i ragazzi ha evidenziato come la memoria sia un elemento importante per coltivare il futuro e non concedere spazio all’indifferenza.
“Le istituzioni devono impegnarsi nella lotta a ogni tipo di discriminazione” conclude Toniaccini. La storica Elisa Guida per introdurre l’argomento ai ragazzi, forse ancora troppo piccoli per sviscerare l’argomento, ha detto: “Cercate di portavi a casa le emozioni ma soprattutto alcuni insegnamenti essenziali come: la lotta alle discriminazioni per il colore della pelle o per il paese di provenienza a cui si appartiene. La nostra Costituzione Italiana sancisce che siamo tutti uguali con stessi diritti e doveri. Dobbiamo impegnarci perché quello che è accaduto nella Seconda Guerra Mondiale non accada mai più”.
A seguire ci sono stati gli interventi di Don Nazzareno Fiorucci, Matteo Fortunati Unipegaso Assisi, Francesco e Cosimo Pisanò dell’Avis di Perugia e Eva Falconieri presidente della Consulta dei giovani studenti. Il silenzio avvolge la chiesa di di San Francesco quando a parlare è Pietro: “Un giorno arrivai a scuola, come tutte le mattine, la maestra fece l’appello ma non nominò il mio nome. Chiesi come mai; lei rispose: sei ebreo non puoi più frequentare questa scuola. Comincia così il mio calvario fatto di leggi che impedivano tutto agli ebrei, di lavorare, di studiare, di viaggiare persino di andare in vacanza. Ben presto arriva la deportazione in carri di bestiame, neanche puliti dagli escrementi, eravamo pigiati come bestie. Un viaggio di un mese e quando siamo arrivati l’80% delle persone finivano direttamente nei forni crematori. Ricordatevi ragazzi – conclude Pietro – quando vi è in un regime dittatoriale si può fare qualsiasi nefandezza. Non esiste una persona che ha sempre ragione. Ragionate con la vostra testa”.
Non cambia di molto la testimonianza Sami che racconta il suo percorso abbracciando l’amico con affetto dicendo che per lui è come un fratello. “Non eravamo delle persone eravamo dei “pezzi”. Ogni volta che le SS facevano l’appello dicevano: “in questa baracca ci sono 250 pezzi”. In quel luogo di morte – continua Sami – nacque la nostra amicizia. La sera parlavamo non di quello che stavamo vivendo, ma della vita che avevamo; ricordavamo i pranzi i giochi, tutto serviva per andare avanti. Io sono riuscito a rivedere mia sorella e mio padre all’interno del campo di concentramento di Birkenau, poi anche loro sono morti. Sono rimasto solo. L’unica cosa che mi consola è l’amicizia con Pietro”. Ormai i testimoni di prima generazione come Pietro e Sami stanno finendo; forse i ragazzi che oggi hanno assistito a questo incontro potranno diventare a loro volta testimoni di seconda generazione. Per non dimenticare.

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