181374 - Monumento in memoria dei Caduti del piroscafo Oria a Patroklos – Grecia

Il Monumento dedicato ai Caduti del piroscafo Oria si trova al chilometro 60 della strada statale Atene-Sunio di fronte all’isolotto di Patroklos luogo dove, il 12 febbraio del 1944, avvenne il naufragio. Monumento inaugurato Settanta anni dopo la tragedia, domenica 9 febbraio 2014.

L’ Oria era partito da Rodi con 43 ufficiali, 118 sottufficiali, e 3.885 graduati e militari italiani. Il Piroscafo navigando sotto costa, si andò ad infrangere per le avverse condizioni meteorologiche contro gli scogli dell’isolotto e solo pochi ebbero la possibilità di salvarsi. Dopo il naufragio, ne furono tratti in salvo 21, assieme a 6 tedeschi e a un greco;  costò la vita ad oltre 4.000 soldati italiani. A bordo militari che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, non avevano aderito al nazismo e alla Repubblica Sociale Italiana e provenivamo dai campi di internamento di Rodi. Prigionieri, diretti verso i campi di concentramento in Germania, come tanti altri militari che subirono la medesima sorte.

Il monumento è una creazione dello scultore Thimios Panourgias, Docente dell’Accademia di Belle Arti di Atene, realizzato assieme alla moglie, anch’essa artista, Signora Maro Bargilli. Su richiesta delle famiglie dei caduti, vede appoggiata sul marmo la riproduzione di una gavetta, collocata
casualmente, come se qualcuno l’avesse lasciata lì, o dovesse raccoglierla. Grazie al ritrovamento di alcune gavette e tramite le iscrizioni su alcune di esse (nomi, dati, ultimi messaggi e promesse di ritorno), qualche famiglia ha saputo dopo quasi settant’anni dell’accaduto. 

La commemorazione è stata celebrata dal Reverendo Nikolaos Foscolos, Arcivescovo Cattolico di Atene. Una rappresentanza dell’Ambasciata d’Italia in Atene e dei nostri militari in servizio in Grecia ha partecipato all’inaugurazione del monumento.

Le ricerche seguite alla scoperta casuale del relitto, nel 2009, da parte di Aristotelis Zervoudis e di altri sub, hanno reso possibile la realizzazione del monumento e consentito a tante famiglie italiane di conoscere finalmente il luogo dove erano scomparsi i propri familiari.

 

 

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Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Saronicco
Indirizzo:
Strada statale Atene - Sunio
CAP:
Latitudine:
37.671037151125
Longitudine:
23.946093964376

Informazioni

Luogo di collocazione:
Lato strada
Data di collocazione:
9 febbraio 2014
Materiali (Generico):
Marmo
Materiali (Dettaglio):
Marmo
Stato di conservazione:
Ottimo
Ente preposto alla conservazione:
Informazione non reperita
Notizie e contestualizzazione storica:
L'Oria era un piroscafo norvegese naufragato nella seconda guerra mondiale, provocando la morte di oltre 4116 prigionieri italiani. Si tratta di uno dei peggiori disastri navali della storia dell'umanità, il più grave mai registrato nel Mediterraneo.
L'Oria fu costruito nel 1920 nei cantieri Osbourne, Graham & Co di Sunderland. Era un piroscafo da carico norvegese, della stazza di 2127 tsl, di proprietà della compagnia di navigazione Fearnley & Eger di Oslo, adibito al trasporto di carbone. All'inizio della seconda guerra mondiale fece parte di alcuni convogli inviati in Nord Africa, e fu lì, a Casablanca, che fu internato nel giugno del 1940, poco dopo l'occupazione tedesca della Norvegia. Un anno dopo la nave fu requisita dalla Francia di Vichy, ribattezzata Sainte Julienne e data in gestione alla Société Nationale d'Affrètements di Rouen e, successivamente, cominciò ad operare nel Mediterraneo. Nel novembre del 1942 fu formalmente restituito al proprietario e ribattezzato Oria; ma subito dopo fu requisito dai tedeschi ed affidato alla compagnia Mittelmeer Reederei GmbH di Amburgo.

L’ “Oria” era partito da Rodi con 43 ufficiali, 118 sottufficiali, e 3885 graduati e militari italiani. Il Piroscafo navigando sotto costa, si andò ad infrangere per le avverse condizioni meteorologiche contro gli scogli dell’isolotto e solo pochi ebbero la possibilità di salvarsi. Dopo il naufragio, ne furono tratti in salvo 21, assieme a 6 tedeschi e a un greco; costò la vita a oltre 4000 soldati italiani.
All'inaugurazione del monumento la commemorazione è stata celebrata dal Reverendo Nikolaos Foscolos, Arcivescovo Cattolico di Atene. Una rappresentanza dell’Ambasciata d’Italia in Atene e dei nostri militari in servizio in Grecia ha partecipato all’inaugurazione del monumento.

I Caduti erano tra coloro che non aderirono al nazismo e alla Repubblica Sociale Italiana dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e provenivamo dai campi di internamento di Rodi. Prigionieri, diretti verso i campi di concentramento in Germania, come tanti altri militari che subirono la medesima sorte.

Il monumento è stato presentato durante la cerimonia dal sindaco di Saronicco Petros Filippou e realizzato grazie all’interesse dei familiari dei caduti che coordinati dal Sig. Michele Ghirardelli, nipote di uno dei dispersi, si sono ritrovati in anni recenti grazie ad internet e sin dal 2006 hanno promosso iniziative in collaborazione con diversi Comuni italiani verso le autorità nazionali e greche per riportare al vivo della Memoria un evento che rappresenta una delle più grandi tragedie del mare Mediterraneo e della storia delle nostre Forze Armate.

Gli abitanti di Saronicco, furono coloro che subito diedero assistenza ai pochi naufraghi che si salvarono e raccolsero nei giorni successivi e nei mesi successivi le salme dei poveri sventurati che si depositavano sulle spiagge e sugli scogli limitrofi, dandogli una pietosa ma dignitosa sepoltura in fosse comuni li vicino. La tragedia ha lasciato un segno profondo nello spirito della comunità greca locale che perdura nel tempo e rappresenta un esempio encomiabile di spontanea umana pietà, anche verso chi sino a quel momento era considerato un nemico ed un occupante. Per molti anni i locali non pescarono più e non si bagnarono più nelle acque della tragedia per rispetto ai Caduti. Solo le nuove generazioni ricominciarono tali usi solo anni più tardi.

Nel pomeriggio è stato inoltre presentato nel vicino comune di Keratea la traduzione in greco del libro monologo di Paolo Ciampi “La gavetta in fondo al mare”, ispirato alle gavette portate alla luce dai sub greci coordinati da Aristotelis Zervoudis che per primo ritrovò i resti del Piroscafo e riportò alla luce diverse gavette dei soldati su alcune delle quali era inciso “MAMMA RITORNERO’ ”, attivandosi per ricercare i familiari dei Caduti.

Il luogo del naufragio è considerato, secondo la convezione dell’UNESCO, Sacrario del Mare, custode dei resti mortali di chi è ivi sepolto e riposa.
Nei Sacrari del Mare presenti nei mari della Grecia riposano circa 15.000 nostri soldati per affondamento di navi. Di molte di queste, ancora non sono stati ritrovati elenchi delle persone imbarcate, qualora esistenti.

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Oria_(piroscafo)
Fonte: http://www.difesa.it/SMD_/Eventi/Pagine/GreciaMonumentoCadutiPiroscafoOria.aspx

Il racconto di Aristotelis Zervoudis con le testimonianze da lui raccolte di due superstiti, un italiano e un tedesco:

L'affondamento del piroscafo "ORIA" il 12 febbraio 1944 sull'isola di Patroclos al largo di Sounion è la quarta più grande tragedia marittima nella storia del mondo e la più grande del Mediterraneo. Tuttavia, è rimasta nell'oblio della storia anche dopo aver ritrovato il suo relitto nel 1999 fino al 2012, quando è iniziato uno sforzo collettivo in Grecia e in Italia, con l’importante obiettivo di trovare l'elenco dei soldati italiani presso la Croce Rossa per informare le famiglie che avevano perso i propri congiunti.
Fino al 2014 queste famiglie avevano ricevuto solo una lettera alla fine della guerra dal Ministero della Difesa italiano con la comunicazione che il loro parente si era perso da qualche parte nel Mediterraneo. Erano considerati a tutti gli effetti "scomparsi".
Molto è stato scritto negli ultimi anni, la maggior parte copie di pubblicazioni originali, mentre recentemente sono state dette imprecisioni, con il risultato che c'è confusione su cosa sia successo esattamente quella notte.
Il bilancio finale del naufragio sembra essere di 4.095 italiani, 15 tedeschi e 21 membri dell'equipaggio (tutti greci). Sopravvissero 21 italiani, 6 tedeschi, il capitano norvegese e un ingegnere greco.
Molte storie tragiche sono emerse dopo le ricerche nel lungo termine e nuovi fatti, sconosciuti fino ad ora, sono venuti alla luce.
Come quella dell'ingegnere navale greco Damianos Iordanopoulos che si scambiò con il collega greco che, a causa delle turbolenze del mare non si sentiva bene, scendendo dal ponte in sala macchine e vi trovò tragica morte insieme al resto dell'equipaggio greco.
Figura tragica Giulio Antoniacci, che, arrestato dai tedeschi a Rodi a causa dell'incredibile sovraffollamento e sovraccarico della nave, fu fatto scendere e mandato ad Atene in aereo il giorno successivo. Quando sbarcò a Tatoi, il giorno dopo fu caricato su un camion insieme ad altri prigionieri italiani e mandato sulle spiagge di Harakas a Legraina a seppellire i suoi compagni scomparsi la notte prima. La sua prima reazione non appena si rese conto di quello che era successo fu di svenire sulla spiaggia. Ancora oggi vive non riuscendo a superare ciò che vide.
Citerò due testimonianze inedite di sopravvissuti pubblicate per la prima volta, una da parte italiana e una da parte tedesca, che fanno luce sui tragici eventi della notte del naufragio.
La prima memoria del 27 ottobre 1946, è del sergente Guarisco Giuseppe del 149° Corpo contraereo che dopo la capitolazione d'Italia fu trasferito nel 4° campo di concentramento di Rodi, e l’ho avuta dai suoi parenti.
“Nel pomeriggio dell'11 febbraio siamo stati trasportati al porto militare di Rodi e imbarcati su un piroscafo passeggeri di cui non conoscevo il nome, ma potevo vedere ai suoi lati scritto a grandi lettere bianche POW (Prisoners Of War).
C'era una folla incredibile sia sul ponte che sulle stive.
Il giorno 12 le condizioni del mare sono peggiorate e nel pomeriggio è scoppiato un terribile temporale con pioggia e nebbia.
Ad un certo punto la nave ha colpito una roccia e subito sono stati lanciati dei razzi. Incredibile confusione.
Quando abbiamo colpito gli scogli sono caduto sul ponte e quando sono riuscito a rialzarmi una grande onda è entrata in una stanza molto piccola a prua della nave a livello del ponte e la sua porta si è chiusa dietro di me.
Le luci erano ancora accese e ho visto altri sei soldati lì.
Dopo un po' le luci si sono spente e l'acqua ha cominciato ad entrare a forza.
Siamo saliti in un piccolo soppalco per stare all'asciutto.
Ad un certo punto ho appoggiato il piede per vedere se il livello dell'acqua si alzava e dopo un po' mi sono accorto che era rimasto invariato.
All'interno della stanza c'era più di un metro d'acqua che saliva quando arrivava l'onda e poi scendeva creando una specie di riflesso di luce da una finestrella in fondo alla porta.
Mi sono tuffato due volte per vedere se potessimo uscire dalla porta ma era impossibile.
Ho convinto gli altri ad aspettare fino al mattino e abbiamo passat la notte tremando per la paura di sprofondare da un momento all'altro.
Quando è spuntata l'alba e abbiamo potuto vedere un po' meglio, abbiamo notato toccando sul lato della stanza un disco di ferro posizionato con delle viti dove normalmente c'era un oblò.
Colpendo uno dei ganci, abbiamo rotto alcune viti e allentato le altre, riuscendo a spostarlo.
Poi abbiamo visto che vicino a noi c'era una roccia alta 50 metri.
Abbiamo iniziato a gridare ma nessuno ci sentiva.
Abbiamo provato a passare attraverso l'oblò ma nessuno poteva entrarci.
Dopo un po' abbiamo sentito degli aerei e tirando fuori la testa ne ho visto uno che volteggiava sopra di noi.
Poi ho legato la cintura a un ferro, l'ho tirata fuori dall'oblò e ho iniziato a farla oscillare più in alto che potevo.
Le ore passavano ma nessuno veniva ad aiutarci.
Abbiamo provato ad aprire di nuovo la porta e ci siamo riusciti ma è rimasta aperta solo quando è arrivata un'onda, poi si è richiusa e guardando abbiamo visto che l'acqua subito dopo la porta arrivava al soffitto.
Uno di noi, approfittando del momento in cui la porta era aperta, si è tuffato per trovare una via d'uscita. Dopo un'attesa che ci sembrava eterna lo abbiamo visto urlare contro di noi oltre l'oblò e ci ha detto che era passato da un'apertura che era completamente sott'acqua.
Un altro, anche se ho cercato di impedirglielo, ha provato lo stesso e purtroppo non lo abbiamo più visto.
Quello che è riuscito a scendere ci ha detto che l'unica parte della nave fuori dall'acqua era la prua e non aveva visto nessuno in giro, tranne gli aerei sopra di noi ai quali faceva dei segnali.
Ad un certo punto abbiamo finalmente visto alcuni uomini sulla roccia e subito dopo una barca con due marinai si è avvicinata e ci hanno detto che erano dell'equipaggio italiano del rimorchiatore Vulcan sotto il comando tedesco provenienti dal Pireo ma a causa del maltempo non avevano potuto avvicinarsi, ci hanno detto di stare calmi che ci avrebbero tirato fuori presto.
Hanno preso il nostro collega che era uscito sulla barca e sono tornati con l'attrezzatura per aprire la buca ma non ci sono riusciti, quindi sono partiti dopo che ci avevano promesso che sarebbero tornati ma non li abbiamo più visti.
La notte è scesa e abbiamo dovuto trascorrerla più in ansia della prima.
La mattina dopo abbiamo visto qualcuno che ci guardava dall'oblò ed era di nuovo dell'equipaggio del rimorchiatore Titan, con equipaggio italiano sotto il comando tedesco.
Immediatamente arrivarono i marinai con una macchina da taglio e iniziarono a praticare un foro nello scafo della nave per passare.
Alla fine è giunto il momento di uscire, quasi 40 ore dopo, ormai credevamo che quel buco sarebbe diventato la nostra tomba.
Poi ho notato che la prua era davvero l'unica parte della nave rimasta, accartocciata sugli scogli ma fuori dall'acqua, e il mare era ancora molto turbolento.
Ci hanno portato al rimorchiatore dove il capitano e l'intero equipaggio hanno fatto del loro meglio per noi anche se ci avevano già salvato la vita mettendo a rischio la propria.
Rimanemmo tutto il giorno nel rimorchiatore ormeggiato al Pireo.
I nomi di coloro che erano con me e che ricordo sono, Riccardi Tomaso, Lauriola Pasquale, Civitillo Cristoforo, Bianco Antonio.”

Il racconto di Oscar Ernst Meyer che prestò servizio nel Granatwerferzug des BB 999 a Karpathos, l’ho avuto gentilmente da sua figlia Inga Grunst:
“Febbraio 1944 a mezzogiorno, improvvisamente tutti i congedanti dovettero presentarsi con i loro bagagli. I nostri camion ci hanno trasportati nel centro storico di Rodi al porto. Fummo caricati su navi: trenta uomini, tra cui io, il mio amico Alfred Jentsch e altri compagni del nostro battaglione BB 999, su una nave mercantile come supervisori dei 4.100 italiani. Gli altri, almeno la maggior parte, sono finiti nelle tre torpediniere che ci accompagnavano. Le stive dell'Oria e il ponte erano pieni di italiani. Noi congedanti siamo finiti sul ponte del piroscafo. Poco prima del buio, siamo partiti. Tutti, tranne i detenuti, avevano indossato i giubbotti di salvataggio. Oltre 4.000 persone senza possibilità di salvezza! Molti giubbotti di salvataggio inutilizzati erano ancora disponibili. Alcuni di noi, soprattutto i più terrorizzati, avevano due giubbotti di salvataggio. Doppio è meglio, pensavano. La maggior parte delle persone ha avuto una sensazione spiacevole. Nonostante la nostra barca avesse su un fianco la scritta "POW" (Prigionieri di Guerra) a grandi lettere bianche, questo non escludeva certo un attacco, soprattutto di notte, dove la scritta era poco riconoscibile. Anche io non ero così tranquillo come lo ero stato in altri viaggi. E il mio amico Alfred era ovviamente nervoso.
Dopo tre ore di viaggio, era già notte fonda, vedemmo in direzione di Rodi forti esplosioni di pesanti armi contraeree. Apparentemente il "Tommy" pensava che fossimo ancora in porto. Eravamo già felici di essere fuori. Circa un'ora dopo un aereo da ricognizione britannico era sopra di noi. Un cannone antiaereo ha sparato contro di essa e in risposta ha sparato un razzo alla testa della nostra scorta navale. Meno di cinque minuti dopo, apparvero due torpediniere Sunderland (Torpedoflugzeug). Ora il ballo è iniziato! Ero al mio posto appena sotto il ponte. Le cannoniere antiaeree di tutte le navi hanno colpito gli attaccanti in risposta. Tuttavia, hanno iniziato ad attaccare da due lati. I localizzatori antiaerei si incrociano di notte. Ecco, un'ombra scura a destra! Là, anche da babordo! Dal ponte il comando: "Torpedo Torpedo! Torpedo" La nave virò. Ero congelato con un brivido freddo lungo la schiena. Ora in viaggio di congedo! E come dovrebbero sentirsi i 4.000 italiani, malati, senza giubbotti di salvataggio e gettati sul ponte come bestiame. Non è successo niente. Hanno perso il bersaglio!
Gli aerei si allontanarono e la contraerea tacque. Improvvisamente sono tornati di nuovo e un siluro è arrivato dritto verso di noi! Gli stessi comandi dal ponte del primo attacco. Ho pensato: "Ora andiamo in paradiso" e stranamente ci siamo graffiati da qualche parte, un forte graffio sotto la nave. Non è successo niente, il siluro era scivolato appena sotto la nave. "Tommy" ci aveva lanciato quattro siluri ma fortunatamente siamo scampati.
Più tardi la notte trascorse tranquilla. Al mattino improvvisamente allarme subacqueo. Le torpediniere si rincorrevano in mare come condannate e lanciavano bombe di fondo. Ma nessun attacco è seguito. Nel frattempo erano arrivati gli aerei tedeschi, quattro aerei che dovevano accompagnarci tutto il giorno e cambiavano ogni ora con altri aerei e giravano intorno alla scorta senza fermarsi. Durante il giorno la turbolenza del mare ha iniziato a crescere. Col passare del tempo, la nave iniziò a tremare notevolmente. Molti hanno cominciato a provare nausea. Le onde sono diventate più forti e forti. A mezzogiorno era così intensa che temporaneamente le torpediniere che ci accompagnavano non erano più visibili e si poteva pensare che fossero state inghiottite dalle onde. Gli italiani soffrivano la nausea soprattutto tra coloro che venivano sistemati sottocoperta nelle stive. E non è stata certo una sorpresa. A causa della scarsità di cibo e ordini, erano così deboli nei loro corpi che erano completamente incapaci di resistere. A ciò si aggiungeva il fatto che i boccaporti erano sigillati ermeticamente e non c’era ventilazione di alcun tipo. Anche qui la Convenzione di Ginevra è stata rigorosamente disprezzata.
Verso notte il tempo era peggiorato fino a diventare un temporale. Non potevamo tenerci in piedi. Anche per l'equipaggio era troppo. Uno ha detto che era un viaggio pazzesco o che i pazzi volevano che fosse fatto. La tempesta è diventata un uragano. Forza 12!! Il mare divenne selvaggio. La schiuma delle onde cadeva in alto sopra il ponte e faceva gelare gli italiani indifesi, in quel momento faceva freddo e ogni tanto tirava neve e grandine. La seconda notte è arrivata sull’Oria. La tempesta fischiava nei nostri cappucci, le onde si infrangevano sulle tavole della nave. Sotto la loro spinta, la nave si muoveva pesantemente e ondeggiava su entrambi i lati così forte che dovevi agganciarti per non cadere dal ponte.
Nel frattempo la notte era diventata buia. Non potevi vedere il tuo naso. L'oscurità è interrotta solo dal segnale visivo bianco-blu intermittente delle navi che comunicano tra loro. Improvvisamente in direzione nord, ripetuti a intervalli regolari, bagliori che si illuminano verso l'alto. I profili scuri delle montagne risaltavano sullo sfondo chiaro e rendevano l'intera immagine ancora più inquietante. Là, segnali visivi ancora intermittenti e cambio di rotta. Ero stranamente ansioso. Non era paura, non era chiaro il perché. Eravamo sul ponte e guardavamo con occhi ardenti l'oscurità. I segnali intermittenti di torpediniere, si erano spostati sempre più lontano e ora erano completamente scomparsi. Improvvisamente uno schianto terribile, un colpo così spaventoso da farmi tremare. Allo stesso tempo, voci di paura da centinaia di gole si riversavano dai portelli delle stive. Cosa era successo? Nemmeno il tempo di pensarci, ancora uno schianto e colpi. Ci siamo arenati! Il panico è scoppiato tra gli italiani. Quelli sul ponte corsero su per le scale. Nella stiva, come una tomba, il panico si faceva sempre più grande, le urla diventavano sempre più spaventose! Gli italiani non potevano uscire. Le scale erano state tirate verso l'alto dall'equipaggio della nave, per paura che scoppiasse una rivolta.
Avevo raggiunto il ponte della nave, come un colpo, e la nave fu scossa e scagliata sugli scogli dal terribile mare. Un ruggito assordante e la notte è coperta dal suo suono. Le spie sono state attivate. Solo ora è stato identificato il luogo del disastro. Alto come una torre, alla nostra destra c'era una roccia, come un muro. La nave si deve essere schiantata contro. Sembrava che la roccia ci stesse cadendo addosso. Un fragoroso fischio delle valvole e il sibilo del vapore mettevano in chiaro che il vapore usciva dalle caldaie. Era un rumore fastidioso, il rombo e il fragore del mare, mescolato al rumore delle valvole, allo scafo che si spezzava ogni volta che la nave urtava lo scoglio, e poi le urla enormi di migliaia di gole. Era semplicemente spaventoso! Sul ponte sono state girate scene incredibili. Molti hanno cercato di saltare nel vuoto, di infilarsi sotto la ripida roccia bagnata, sono caduti tra le onde, da cui sono stati subito scagliati e uccisi sugli scogli. Altri tentarono di tuffarsi in mare da sinistra, furono travolti dall'onda che si stava tirando verso l'interno per scagliare loro il prossimo che arrivò con tremenda forza sul fianco della nave e li affogò. La nave iniziò ad affondare. Un pezzo era già sott'acqua. Un nuovo schianto, una collisione e un'esplosione e la nave si spezzò in due.
Alla luce dei bagliori di luce lanciati verso l'alto, le persone sembravano essere gettate in massa in mare. Il freddo è orribile. Si percepivano solo le grida di paura delle persone vicine. Si poteva vedere nelle persone questo orrore dell'acqua, della morte in questo mare che eruttò con tremenda forza e contro il quale si trovavano deboli e senza possibilità di salvezza. Altri erano rigidi, come paralizzati dal terrore, e furono gettati in mare da enormi onde. Una scialuppa di salvataggio è uscita dall'esterno. Si è bloccata e si è appesa alle gru, piena di gente. Abbiamo provato a scaricarla. La barca si è sporta in avanti, è scivolata all'indietro e rimasta sospesa perpendicolarmente all'aria. I passeggeri rimasti appesi a testa in giù in mare e smembrati.
Mi chiedevo: "Cosa devo fare? Devo cadere in mare?" Sarebbe una follia. Da una parte sarei saltato sullo scoglio, dall'altra ai lati della nave. Era una situazione disperata. "Aspetta, se la nave rimane così, cerca il punto più alto" Ho pensato che fosse la cosa giusta da fare e ho cercato di tornare a poppa. Era difficile muoversi sul relitto che aveva preso una grande pendenza. Ho dovuto aprirmi la strada in avanti e afferrare oggetti, per non scivolare o cadere in mare. Una parte della fiancata della nave era già sott'acqua e io ero in acqua fino al petto per la maggior parte del tempo. Mentre mi facevo avanti, incontrai il mio partner Alfred. "Almeno togliti il cappotto", mi ha gridato all'orecchio e gli ho consigliato di continuare con me, perché la poppa andava più in alto delle altre parti della nave sopra l'acqua. Abbiamo continuato a salire insieme, ma all'improvviso l'ho perso. Ho gridato il suo nome un paio di volte, ma il rumore della tempesta e il tuono del mare hanno soffocato le urla. Sono tornato su, ho guardato senza trovarlo. Nel momento in cui volevo afferrarmi da una corda all'altra, un'onda mi ha colpito violentemente e mi ha gettato in mare. Incredibile vortice e sono stato subito trascinato negli abissi. Ho provato a tirarmi su, ma senza successo. Mi è venuto in mente un pensiero. Era molto strano, ora tutto mi era chiaro davanti agli occhi. Non ho perso conoscenza, non sono stato paralizzato dal terrore. Non avevo nemmeno paura. Era come se non stessi combattendo fino alla morte. Fui colto da una strana calma. "Questa non può essere la fine, non può finire così facilmente", mi passò per la mente. Mi sembrava ridicolo che tutto dovesse finire all'improvviso e sott'acqua.
L'acqua intorno a me era illuminata dal plancton fosforescente. Grazie a questo ho riconosciuto chiaramente ombre nere che si alzavano, l'ho afferrato con una mano, 'scavato' in profondità con le dita e mi ha trascinato su. In seguito ho capito che era un barile di benzina vuoto. Il fusto mi ha portato in superficie, in aria. Ma subito un'onda mi ha travolto di nuovo. I barili che galleggiavano nell'acqua hanno sbattuto uno contro l'altro e su di me. Tornato in superficie, ho dovuto liberarmi con grande sforzo dai fusti che continuavano a colpirsi. Il mare intorno a me è pieno di frammenti e di barili, di morti e di vivi. Nella loro paura della morte piangevano ma il mare li inghiottì. Dell’Oria non c'era più niente da vedere, solo le parti della nave, che in numero crescente tornavano dagli abissi e migliaia di persone in acqua erano il suo ultimo segno. Ho avuto una fortuna inimmaginabile quando sono uscito dall’Oria che stavano affondando. Ora è iniziato un nuovo capitolo nella mia lotta con lo slancio, ma anche con l'annegamento. Il mare chiamava le sue vittime con tutte le sue forze. Li ha lanciati e girati, vittime a testa in giù, spingendoli sott'acqua! Questa lotta delle persone contro le forze della natura era terrificante. Gridavano e pregavano nel bisogno e nel timore di morire affogati! L'angoscia degli annegati è piccola ma terribile. Ricomparivano spesso, venivano impigliati al mio giubbotto di salvataggio, dovevo liberarmi con la forza, perché non mi trascinassero in profondità. È stata una cosa irreale. Durante l'affondamento hanno cercato di trattenermi per una gamba. Quindi ho dovuto prendermi a calci per liberarmene. Non c'era niente da fare, perché non c'era altro modo, né lui né io, o entrambi. Innumerevoli corpi furono travolti nell'acqua e gettati dalle onde qua e là tra i detriti. Mi vennero incontro con occhi lucidi ad occhi aperti, in cui era ancora leggibile tutta l'angoscia di questa terribile morte. Mi stavano cadendo addosso dalle onde, erano aggrovigliati tra le mie gambe. La mano di un morto mi ha colpito in faccia. I vestiti che lasciavano i corpi mi erano stati gettati in testa dalle onde e mi stavano costantemente sprofondando sott'acqua. Ho cercato di legare alcuni pezzi di legno con un fazzoletto, ma accanto a me è riapparso un italiano che affondava con un sospiro, ha afferrato disperatamente il fazzoletto addosso e lo ha portato con sé fino in fondo. Con tutte le mie forze, ho spinto via l'uomo da me continuando a nuotare. E ancora una volta lontano dal mucchio, a tutti i costi. Ognuno faceva affidamento solo su se stesso. A circa 2 o 3 chilometri da me c'era una baia rocciosa dove l'onda è rapida. Dietro di me la piccola e ripida isola rocciosa. Mi guardavo intorno, prestavo attenzione al corso d'acqua, ad ogni costo dovevo arrivare alla baia, forse potevo arrivare a terra da qualche parte, accanto a me c'era qualcosa di bianco, una porta. Potevo sdraiarmici sopra, ero sconvolto dal freddo, battevo i denti e tutto il mio corpo si sentiva gelido e stanco. Davanti a me due persone sono state tirate dalla corrente su una tavola, li ho chiamati, ho chiesto se erano tedeschi, ma non ho ricevuto risposta. Quanto tempo sono stato in acqua, a seconda della posizione della luna per almeno un'ora e mezza o due ore. La terraferma sembrava avvicinarsi ed ero davvero trasportato verso la baia, ne sentivo la schiuma e il ruggito avvicinarsi. Ora vedevo anche molto chiaramente e potevo riconoscere che era ancora agitata a destra mentre al centro era ovviamente tranquilla. "Com'è possibile?" mi chiedevo nella mia testa. L'intera baia era rocciosa e montuosa. Il ruggito e il gonfiore diventavano sempre più assordanti, sempre più spaventosi. Improvvisamente mi sono ritrovato in mezzo all'inferno. Veniva da dietro di me con grande velocità e forte rumore. Una tempesta gigantesca venne verso di me, mi afferrò, mi spinse violentemente sott'acqua, mi fece vorticare insieme alla porta a cui mi aggrappavo come un matto. Ingoio acqua, acqua sempre più acqua! Mi bruciava la gola il mio petto. Con grande fatica sono riuscito a tornare in superficie e a raggiungere la mia porta. Stavo lottando disperatamente per prendere un po' d'aria, ma qui è arrivata rapidamente l'onda successiva e ho vorticato sott'acqua e non appena sono riuscito a chiudere bocca e occhi. "Questa è la fine", ho pensato. "Non sopravvivrai a questo! Volevi venire qui, ora sei venuto, è l'inferno, e qui sei distrutto!" Ma la voglia di vivere è così forte! Sono tornato di nuovo in superficie e sono stato sbalzato e mi sono girato. Ho visto l'inferno che era sopra di me, più violento dei precedenti. Rimasi stretto, chiusi la bocca e pensai: "Non lasciarti andare, non lasciarti andare". Qui è arrivato un duro colpo. Ha bussato alla mia porta, mi sono voltato bruscamente e l'ho tirata, ma sono tornato di nuovo. E questo è continuato più volte, fino a quando l'onda si è indebolita.
Improvvisamente, senza alcuna spiegazione, la mia porta smise di muoversi e rimase in posizione orizzontale appena sotto la superficie dell'acqua. Ero ancora completamente stordito e non riuscivo a spiegarlo. Improvvisamente ho sentito la terra solida sotto i miei piedi, ho sentito delle voci e ho visto due figure che erano cadute a terra. Un giovane pilota tedesco della sua nave contraerea e un membro dell'equipaggio greco, a sua volta completamente esausto e sconvolto. Potevamo a malapena parlare. Abbiamo cercato di liberarci a vicenda dai giubbotti di salvataggio. Ma le mani non potevano farlo. Determinati, senza forze, congelati, siamo sulla spiaggia. La tempesta ci fischiava addosso, cullandoci e tagliandoci le membra come centinaia di coltelli. Riprendendo lentamente conoscenza, trovai un coltello in tasca e ci liberammo dai giubbotti di salvataggio. Pezzi dei suoi vestiti erano ancora appesi al corpo del greco, il suo occhio era gonfio, la sua testa aveva sbattuto. Il giovane marinaio, in divisa, senza scarpe, senza calze, con una ferita alla testa. Anche io, ugualmente esausto, ma indenne! Quindi siamo sulla spiaggia. Non si poteva camminare, ci arrampicavamo bassi sulle rocce e cercavamo di rifugiarci e riscaldarci insieme dal freddo della tempesta. Così ci siamo addormentati a causa della stanchezza sul ghiaccio freddo, dei vestiti gocciolanti e delle fossette sui nostri vestiti.”
È qui che finisce la narrazione di Meyer, poiché le sue ultime pagine si perdono da qualche parte nel tempo.

Oggi, 74 anni dopo, sono state ritrovate solo 320 famiglie di italiani scomparsi e si sta cercando di individuarne il maggior numero possibile. Il sito del relitto è stato designato "tomba in mare" e sul fondo è stata posta una targa commemorativa per i morti di "ORIA". Dal 2014 sulla costa di fronte a Patroclos e sulla strada costiera di Atene Sounion con l'aiuto del Comune di Saronico e di sponsor locali è stato eretto un monumento per ricordare l'entità della tragedia.
Aristotelis Zervoudis, subacqueo professionista.

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Lato sinistro:
AI CADUTI DELL'ORIA
..IN QUESTO SPECCHIO DI MAR EGEO DOVE
SPUNTA L'ISOLA DI PATROCLO RIPOSANO
OLTRE 4000 MILITARI ITALIANI PERITI
IL 12.2.1944 NEL NAUFRAGIO DEL PIROSCAFO
"ORIA" CHE LI DEPORTAVA VERSO I LAGER
NAZISTI..

Lato destro:
La stessa scritta in greco

Targa in fondo al mare in italiano e greco:

AI CADUTI DELL'ORIA
12 - 2 - 1944
Simboli:
Informazione non reperita

Altro

Osservazioni personali:
Staff Pietre: un particolare ringraziamento ad Aristotelis Zervoudis sub professionista al quale si deve la scoperta del relitto nel 2009, il recupero di molto materiale e del lavoro di ricerca su questa tragedia, e a tutti coloro che hanno collaborato. Crediti fotografici Aristotelis Zervoudis.
Nel gruppo Facebook "Dispersi seconda guerra mondiale piroscafo Oria" è disponibile un documento con l'elenco delle persone imbarcate:
Pdf elenco imbarcati Oria

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