264547 - Lapide a sei partigiani impiccati a Ceresole d’Alba (CN)

La lapide ricorda sei dei nove uomini impiccati dai tedeschi il 22 Luglio 1944 a Ceresole d’Alba, durante un azione di rastrellamento condotta insieme a reparti fascisti. Si tratta di una lastra rettangolare di marmo apposta sulla facciata di un edificio privato, nel luogo dove venne consumato il barbaro crimine. L’epigrafe reca incisi, in ordine alfabetico, i nomi dei Caduti, la comune data di morte e l’anno di posa. I caratteri sono stati riempiti con vernice di colore nero. Accanto al fianco inferiore destro della lastra (rispetto a chi guarda) è stato collocato un piccolo vaso portafiori di bronzo.

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Indirizzo:
Via Martiri, tra i nn. civici 85 e 87
CAP:
12040
Latitudine:
44.8005564
Longitudine:
7.8168065

Informazioni

Luogo di collocazione:
Parete esterna di edificio privato.
Data di collocazione:
22 Luglio 1946
Materiali (Generico):
Bronzo, Marmo, Altro
Materiali (Dettaglio):
Marmo per la lapide. Vernice di colore nero a riempimento di caratteri che costituiscono l’epigrafe. Bronzo per il vaso portafiori.
Stato di conservazione:
Ottimo
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Ceresole d'Alba
Notizie e contestualizzazione storica:
Dalla lettera di don Pietro Cordero, allora parroco di Ceresole d’Alba, al capitano Icilio Ronchi Della Rocca, comandante della 12a Divisione autonoma “Bra” sull’eccidio del 22 Luglio 1944 (1):

(…) Il mattino del 22 Luglio 1944, ci viene anticipata la sveglia dal lugubre crepitio della mitraglia. Una forte colonna di SS tedesche (2) di circa 350 uomini e di alcuni repubblichini, proveniente da Scalenghe (To), Pinerolo (To), irrompe su Ceresole dalla strada di Sommariva Bosco (Cn) e di Carmagnola (To), si allarga a raggiera per compiere un rastrellamento in grande stile, con epicentro la frazione Maghini (…). Alla periferia sud del paese, bussano alla porta di una casa, ed obbligarono il proprietario, signor Magliano Bernardino - vice podestà - , a far loro da guida: “Portateci sulla Strada Cantarelli evitando il paese”.
L’uomo cerca di esimersi, ma poi è costretto ad obbedire.
Attraverso sentieri si giunse alla Regione Tagliata. La guida, che già al chiarire del crepuscolo mattutino ha scorto una macchina in vicinanza sotto un gelso, cerca di disertare il sentiero e portare la colonna lontana da un punto troppo pericoloso; ma le SS, che pure hanno intuito la preda, lo costringono a proseguire.
Con i moschetti spianati circondano l’albero e intimano la resa.
Si tratta di un piccolo gruppo di sei nostri giovani addormentati, che non hanno risposto alla chiamata repubblicana alle armi, e per sfuggire ai continui rastrellamenti si sono portati a dormire in campagna, in prossimità dei boschi. Essi sono: Molina Vincenzo cl. 1920, Lusso Giuseppe cl. 1920, Dassano Michele cl. 1922, Burzio Gianfermo cl. 1924, Ferrero Gregorio cl. 1924, Marocco Tommaso.
Vengono percossi a sangue e perquisiti: non hanno armi, non possiedono documenti compromettenti.
Tra guanciate che fanno loro deformare il volo, pugni nei fianchi e calci, vengono spinti fino a Maghini.
Colà altri tedeschi hanno già perquisito le case: non trovando giovani di leva, hanno arrestato padri di famiglia e ragazzi. All’arrivo di questi giovanotti, i primi arrestati sono posti in libertà. Un repubblicano si avvicina ad essi e dice in confidenza: “Ringraziate questi vostri amici, se no …” e si mette la mano a taglio nel collo.
Un’altra colonna arriva alla Cascina Pautasso e porta con sé il giovane Trinchero Giovanni cl. 1916, sorpreso nella sua casa, mentre si alzava per recarsi a Messa.
I tedeschi sono soddisfatti della grossa caccia; sostano un po’ e mangiano e bevono quanto di buono possono trovare nelle case della borgata.
Una buona mamma si avvicina a colui che le pareva il comandante e supplica il permesso di portare un po’ di latte a quei poveri figliuoli.
L’atto di pietà materna è bruscamente respinto con un: “Non ne hanno più bisogno!”.
Intanto nel concentrico altre pattuglie perquisiscono la casa di Novarino Giovanni – Via S. Antonio – da dove, passando, hanno visto fuggire due giovani senza poterli acciuffare. Sono i partigiani Pettinati Mario (3) ed il suo comandante Gimmy (4). Arrivati a casa poche ore prima per rifornimenti, mentre già stanno per far ritorno ai loro boschi, avvertono le SS passare in una lunga interminabile colonna a fianco della loro abitazione. Buttano le armi nello stagno del cortile e fuggono … Le SS che hanno avvertito l’acqua in moto, ripescano le armi ed arrestano il padre del partigiano Mario, Pettinati Florindo, di anni 42, sfollato da Torino ed il padrone di casa Novarino Giovanni di anni 46.
Più sotto, in Via Bonissani, Degno Ruggero (5) soprannominato Barbiere, che da una settimana si era iscritto alla Brigata partigiana “Garibaldi” di stanza a Monteu Roero, cerca scampo nella fuga; ma raffiche di mitra lo fermano ed anche lui è nelle grinfie della iena.
I catturati del concentrico e della campagna sono portati tutti nella valletta a sud del paese, per il processo che dura non più di dieci minuti. Sono le 8,30 circa.
Le mamme dei prigionieri che solo a quell’ora hanno saputo dell’arresto dei figli, accorrono per vederli … Il comandante ne è seccatissimo.
Respinge le mamme puntando loro i mitra, e dà ordine di partire immediatamente.
Anche il parroco, che fin dal mattino presto è sempre stato alle vedette e in contatto con una delle madri sfortunate, Marocco Maria, riesce a sapere dell’arresto di quei suoi figli. Fa per recarsi sul posto ma sono già partiti.
A un chilometro fuori del paese, verso Carmagnola, la colonna sosta.
Si discute un po’ tra i caporioni tedeschi, quindi si ordina il dietro front, e si ritrova in paese.
“Sono banditi di Ceresole! … a Ceresole saranno impiccati! …”.
Qui le cose precipitano: le SS hanno fretta.
Ai condannati non hanno detto nulla e vengono allineati al muro del palazzo Caccia. Un ufficiale tedesco si reca in Comune e si fa accompagnare dal segretario comunale alla casa del parroco: “Ci sono dei condannati da confessare …”. “Vengo subito” rispondo, e intanto supplico, con il segretario comunale, di rilasciare al mio vice parroco un lasciapassare per recarsi a chiamare il podestà. Questi, abitando all’Alfiere (6) – a due km. fuori del concentrico – già aveva avuto il suo buon da fare perché venisse rimesso in libertà il giovane suo lavoratore di anni 17, Gioda Bartolomeo, e coi tedeschi che perlustravano la sua abitazione e quella dei mezzadri, impedito di recarsi al Municipio dalla famiglia in disperazione, aveva mandato poco prima il suo giardiniere a vedere se in paese fosse successo qualche cosa di increscioso e veniva dal medesimo assicurato che in Municipio non risultavano né arresti né saccheggi.
I tedeschi rilasciano al mio vice parroco il lascia-passare dicendo: “Tanto è inutile …”.
La via principale è letteralmente occupata da carri armati, autoblinde, camions e soldataglia.
Vedo i miei giovani gonfi in viso, occhi pieni di sangue. Non posso trattenere le lacrime … Istintivamente faccio per avvicinarli: mi sento afferrare con violenza ad un braccio e vengo tirato indietro con brutali minacce. Vedo un po’ più avanti una fila di giovani arrestati e me sconosciuti.
Mi viene il sospetto che i condannati non siano i miei.
Intanto soldati dall’alta parte della via distendono funi e le tagliano a lunghezza misurata.
Domando: “Per chi mi avete fatto chiamare? …”. Nessuna risposta.
Mi rivolgo ai miei giovani: “Che cosa vi hanno detto? …”. Nessuno di essi mi risponde, ma tutti si stringono nelle spalle come per dire: noi non sappiamo nulla …
Il comandante, tenente colonnello Dierich, mi si avvicina ed indicandomi i miei giovani: “La vita … questi ribelli … vostra coscienza …”.
- Vi sbagliate, comandante, non sono ribelli, rassicuratevi … saranno renitenti alla leva. Ma ribelli no …
- Ribelli, ribelli … - urla feroce.
- Vi ripeto che non sono ribelli … I ribelli non stanno qui.
- Tutti banditi …, voi cappellano banditi … E fa segno di minaccia anche per me.
- Io sono il parroco, li conosco tutti, sono i miei figlioli, non sono capaci di fare i banditi. Lo posso giurare …
Più feroce, con lo sguardo fulminante, mi rivolge una sfilza di parole in tedesco che terminano con un: “tacete, o …”.
- Sono pronto a testimoniarvi col sangue che nessuno di questi è ribelle. E poi, anche quel vecchio è ribelle? … e indicavo il padre Novarino incluso nella fila.
- Tutti ribelli …, quello … capo banditi … trovato fotografie … - e mi indicava il giovane Ferrero.
Indicandomi poi il Novarino: “Quello … vecchio … armi in casa …”. E si allontanava. Attorno a me silenzio di morte … Mi trovo solo … Circondato da facce ostili.
Solo con i miei giovani, innocenti sì, ma impotenti a difendersi.
Qualche repubblicano mi guarda con occhio di compassione. Uno di essi mi passa di vicino e mi mormora tra i denti: “Non difendeteli, se no c’è qualcosa anche per voi”.
Cerco di riavvicinare il comandate, supplico qualche repubblicano ad aiutarmi a salvare gli innocenti. Mi si risponde: “Non possiamo, … impiccano anche noi” …
Ritrovo il comandante. Lo supplico di avere compassione; che sono giovani di buone famiglie, che li arruolino nella repubblica (7); che piuttosto uccidano me, ma che risparmino quei giovani; che tra poco arriverà il podestà e sentiranno da lui se ho mentito.
Il comandante non dava segno di intendermi; (eppure capiva benissimo l’italiano, quantunque lo parlasse a stento e male), a sentire nominare la repubblica, fece un segno di disprezzo. Scattò al nome podestà e bloccò dicendo: “Podestà banditi”.
Mi mostra l’orologio e dice: “Dieci minuti di tempo, se no muoiono così”. E fugge via in mezzo alla truppa.
Mi avvicino ai miei giovani: - Coraggio! Raccomandiamoci al Signore che è più buono degli uomini.
- Ma ci vogliono ammazzare? … che male abbiamo fatto? … siamo innocenti ...vogliono che diciamo che siamo ribelli …
- Lo so … ora vi confessate, vi do la Comunione e poi Dio vi aiuterà. Dite con me: Gesù mio, misericordia e vi do l’assoluzione.
La mano trema … le lacrime bagnano le Ostie consacrate che si posano ad una ad una sulla lingua dei martiri.
Mi avanzano ancora tre Ostie. Sto per consumarle io … Se dovrò morire io per essi o con essi, avrò fatto anch’io la mia comunione viatico; ma un tedesco mi ferma la mano e mi dice: “Altri, altri …”. Su un’autoblinda, sotto il balcone dell’albergo in faccia, vi sono: Trinchero Giovanni, Pettinati Florindo e Degno Ruggero. Non li avevo ancora visti.
Scendono, fanno anche loro la Comunione, poi sono fatti risalire.
Dal balcone già pendono tre corde. Il cannoncino di piazza, da un’altra autoblinda spara i colpi dell’esecuzione. Il boia lega la corda al collo di quei primi tre disgraziati …
(…) Mi volto verso il comandante per implorare ancora un’ultima volta, ma la voce non esce, non so più che cosa dire, sono come inebetito.
Il comandante dà un ordine secco. Dietro di me romba un motore e una macchina si muove … Mi volto istintivamente per non essere investito; è l’autoblinda che striscia vi di sotto il balcone e lascia appesi alla fune i primi tre.
Impietrito davanti ad essi ripeto l’assoluzione. In meno di trenta secondi due sono morti. Il terzo non ha il capestro a posto, si agita, si aggrappa nel vuoto..
Ripeto l’assoluzione. O Gesù, che con loro hai voluto salire questo patibolo, che ancora vivi nei loro corpi morti, dona pace eterna!
Il terzo non è ancora morto. “Ma se proprio li volete ammazzare non fateli soffrire così!” grido. Un omaccione con la sigaretta in bocca, con un salto si aggrappa alle gambe dell’agonizzante e si abbandona così con tutto il suo peso. Si rilascia cadere a terra, si allontana di un passo, guarda ridendo la sua vittima soddisfatto dell’opera sua.
Al secondo balcone d’albergo di Novarino Giacomo è già pronto sull’autoblinda il secondo gruppo: Marocco Tommaso, Ferrero Gregorio, Dassano Michele. Già hanno il capestro al collo. Si stringono muti e quasi sorridenti la mano. Poi vengono loro legate le mani dietro la schiena. L’autoblinda parte e tre altre vittime sono immolate!
Ripeto l’assoluzione anche per questi mentre l’autoblinda si affretta a pigliare altri tre: Molina Vincenzo, Novarino Giovanni, Burzio Gianfermo e li porta sotto il balcone della casa Croce, a cento metri più su, nella stessa via.
A questo punto arriva in bicicletta il podestà con il vicecurato . - Dio mio – grida – cosa si fa! Fermi, fermi laggiù. - Ma il comandante imbestialito, con voce d’aquila, dà ordine di completare il crimine ed investe furibondo il podestà con una serie di improperi in tedesco e in italiano: “Comunista, traditore, capobandito, ecc.”.
Laggiù, il terzo gruppo è pronto per la stessa fine.
Voglio portare anche a quelli l’ultimo conforto … e m’incammino.
Il comandante mi fa rincorrere da due SS che senza parlare mi pigliano in mezzo a loro e mi riportano davanti a lui. Supplico e mando a sostituirmi il vice curato, che fa appena in tempo ad arrivare sul posto e l’autoblinda striscia via di sotto il balcone lasciando appeso il terzo gruppo di vittime.
La corda strozza la vita a Novarino e Molina. A Burzio si rompe la fune e piomba a terra, ma è ancora vivo … si rialza, guarda stupito … Due soldati gli sono addosso; lo sostengono e gli chiedono “cosa volete?”, ma senza aspettare risposta gli accomodano un’altra più robusta corda al collo. Buttato sull’autoblinda viene appeso una seconda volta … e le vittime innocenti salgono a nove!
Dei dieci catturati, solo più uno è sopravvanzato (sic!): Lusso Giuseppe, ma pare a lui riservata sorte più infelice, impiccarlo a Sommariva Bosco (8).
Intanto il comandante tedesco continua a vomitare ingiurie, minacce e promesse di morte a me, al podestà e il proposito di radere al suolo tutto il paese come covo di ribelli. Il podestà cerca di difendersi, ma gli intima il silenzio. (…) Passo, con grave rischio per me e per l’intero paese, al contrattacco rinfacciando l’illegalità del processo ed i nove delitti consumati e giurando sull’innocenza dei morti.
Un repubblicano lì al mio fianco, mi tira la talare, mormorando: “Tacete che v’impiccano per davvero!”.
- E che m’importa? Ho un solo rincrescimento: di non essere stato impiccato per il primo - .
Il comandante sembra avere un momento di rimorso. Abbassa la voce, e cerca di giustificare il suo operato. Dice di perdonare tutti i ribelli renitenti, purché si presentino al Comando tedesco, non alla repubblica; mi autorizza ad interrare i morti con la sepoltura religiosa e con la partecipazione del popolo ecc. Ottengo pure che venga sospeso l’ordine di saccheggio e di incendio alle case degli impiccati. Ma per le case dei due alberghi Novarino Giacomo e Novarino Giovanni non riesco ad ottenere grazia e sono date al saccheggio e alle fiamme come un ritrovo di ribelli.
(…) L’incendio si fa più rabbioso nell’opera sua distruttrice, come l’ira nemica; il tetto della casa Novarino dirocca. Mozziconi accesi di travi e listelli cadono sui sottostanti balconi, bruciando le corde cui sono appesi i cadaveri delle vittime. Tre strapiombano a terra, tra bragia e rottami; gli abiti dei martiri sono ridotti in cenere ed i corpi dei tre infelici appaiono nudi in posizioni tragicamente impressionanti.
Sui tetti di una casa vicina qualcosa si muove … è il giovane Imanone Natale, che rifugiatosi sui tetti, nel timore di essere investito dalle fiamme, si sposta. Scoperto viene fatto scendere e portato a fianco di Lusso Giuseppe, l’ultimo dei dieci, il quale non cessa di supplicare: “Arciprete, dica che uccidano anche me qui a Ceresole, che non mi portino via! … dica che mi uccidano subito … dica che mi uccidano!”.
Quasi contemporaneamente, un figuro tedesco trascina in modo brutale un individuo sui trentacinque anni, che tiene per la lunga capigliatura.
Lo porta sotto il primo gruppo di impiccati e lo costringe a guardare.
Afferra i cadaveri sospesi alla fune, glieli fa girare perché li possa vedere bene in faccia e dandogli strappi ai capelli all’indietro e pugni sotto il mento e calci gli dice: “Guarda … bello eh? Così faremo anche a te”. E lo riporta presso l’autoblinda dove viene fatto salire. Costui è un povero muratore torinese (?), che, sorpreso al suo lavoro alla Cascina Baracca, viene catturato come bandito e poi impiccato lo stesso giorno a Sommariva Bosco insieme a un partigiano (9).
La tragedia sta per finire. Il comandante, squalificato il podestà, impartisce al parroco gli ordini da trasmettere alla popolazione.
I – I cadaveri caduti a terra per l’incendio, devono essere immediatamente riappesi al loro balcone.
II – I cadaveri dovranno rimanere appesi fino alle dodici del giorno seguente. Aeroplani verranno in volo i ricognizione: se i cadaveri non risulteranno tutti appesi o saranno asportati prima dell’ora segnata, il paese verrà bombardato dall’aria, indi carri armati con lanciafiamme faranno il resto.
III – Tutta la popolazione è tenuta a denunciare immediatamente il passaggio di ribelli, a qualunque ora del giorno e della notte. Il parroco pagherà per primo l’inadempienza di quest’ordine.
IV – Tutti i membri della famiglia che avrà dato alloggio o roba ai ribelli, verranno tutti passati per le armi e la casa incendiata.
V – Tempo due giorni, tutti, dai dodici anni in su, devono avere le carte di riconoscimento. Chi, preso, risulterà sprovvisto sarà tenuto ribelle e passato sul posto per le armi, anche se donna e ragazza.
- Italiani traditori! … Vi faremo vedere noi cosa siamo! -
E con questo saluto, tigre e tigrotti se ne partono.
(…) I cadaveri vengono riappesi, con una fune sotto le ascelle, e ricoperta la completa nudità con un lenzuolo mentre delle Cicogne (10) dall’alto compiono la prima ricognizione. Altra ricognizione la compiono il mattino seguente, abbassandosi sino a sfiorare i tetti. La barbara imposizione è rispettata; i nove cadaveri sono ancora tutti appesi.
Uomini volenterosi montano nella notte la guardia d’onore ai poveri morti. Molti passanti nella via svengono davanti a tanto orrore.
Nel primo pomeriggio del giorno seguente, domenica 23 Luglio, mani pietose depongono i cadaveri, già in dissoluzione per il gran calore, e li compongono religiosamente nelle casse donate dal Comune. Le casse vengono allineate nell’ampia Chiesa della Confraternita .
(…) La sepoltura non può essere effettuata alla Parrocchiale perché il sangue non coagulato, sgorgante vivo dai corpi morti, non permette il trasporto delle bare.
(…) Terminato il rito della sepoltura, si snoda il corteo per accompagnare le vittime al Camposanto.
Ma ecco il silenzio di morte è rotto da fulminee scariche di mitragliatrice e da rombi di motori …
Un grido solo di disperazione si leva dalla folla … sono di nuovo i tedeschi!
Un’autoblinda, due camions carichi di truppa ci sono addosso.
Qualche donna fugge, qualcuno si inginocchia a terra, altri stendono le braccia ad implorare pietà.
I tedeschi contemplano il terrore della popolazione e ridono … - Siamo venuti a prelevare il vino dell’albergo che non abbiamo potuto asportare ieri – dicono al podestà che li ha interpellati. Girano sulla piazza i loro automezzi e si riportano alla cantina Novarino.
La popolazione si riprende e in preghiera accompagna i cadaveri dei sui martiri al Camposanto per comporli in pace con gli altri suoi morti. (…)
Don Pietro Cordero


I Caduti elencati in questa lapide:

• Michele Dassano, nato il 12 Marzo 1922 a Ceresole d’Alba, ivi residente; contadino. Nella banca dati del partigianato piemontese presente nel sito dell’Istoreto, la data di nascita è fatta risalire al 12 Settembre 1922. Inoltre vi figura anche col nome di battaglia di “Chele”.

• Ruggero Degno (o Degni), nato il 4 Novembre 1921 a Barletta (BAT), residente a Torino; meccanico.

• Gregorio Ferrero, nato il 15 Settembre 1924 a Ceresole d’Alba, ivi residente; contadino.

• Tommaso Marocco, nato il 27 Luglio 1925 a Ceresole d’Alba, ivi residente; contadino.

• Florindo Pettinati, nato il 12 Marzo 1902 a Melazzo (Al), residente a Torino; magazziniere. Nella banca dati del partigianato piemontese presente nel sito dell’Istoreto la data di nascita riportata è quella del 19 Marzo 1902.

• Giovanni Trinchero, nato il 21 Ottobre 1916 a Ceresole d’Alba, ivi residente; contadino. Nella banca dati del partigianato piemontese presente nel sito dell’Istoreto la data di nascita riportata è quella del 31 Ottobre 1916.

Gli altri Caduti sono:

• Gianfermo Burzio, nato il 1° Agosto 1924 a Ceresole d’Alba, ivi residente; operaio. Nella banca dati del partigianato piemontese presente nel sito dell’Istoreto il nome di battesimo risulta essere quello di Giovanni.

• Vincenzo Molina, nato il 10 Ottobre 1920 a Ceresole d’Alba, ivi residente; contadino.

• Giovanni Novarino, nato il 26 Ottobre 1898 a Ceresole d’Alba, ivi residente; contadino.

Dati biografici desunti da “Vite spezzate”, database dei Caduti della e nella provincia di Cuneo durante la II Guerra Mondiale consultabile nel sito dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società contemporanea in provincia di Cuneo e dalla banca dati del partigianato piemontese consultabile sul sito dell’Istituto piemontese per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea “Giorgio Agosti” di Torino (Istoreto). Tutte le vittime di questo eccidio sono state considerate come Caduti partigiani appartenenti alla 45a Brigata della 12a Divisione autonoma “Bra” e riposano nel Sacrario a loro dedicato all’interno del Cimitero di Ceresole d’Alba.
Burzio, Novarino e Molina sono ricordati nella lapide collocata in Via Martiri n. 5 (vedere anche scheda103860 di questo stesso sito curata da Luigi Cravero).


NOTE:

1. Icilio Ronchi Della Rocca “Ricordi di un partigiano. La Resistenza nel Braidese”, a cura di Livio Berardo, Franco Angeli, Milano 2009 pagg. 95/103.

2. Non si trattava di SS, ma di un reparto antiguerriglia della Luftwaffe, il Sicherungs-Regiment der Luftwaffe Italien agli ordini del tenente colonnello Fritz Herbert Dierich.

3. Mario Pettinati (“Walter”), figlio di Florindo, una delle vittime impiccate a Ceresole d’Alba il 22 Luglio 1944, già partigiano della 12a Div. autonoma “Bra” e poi della 48a Brig. Garibaldi “Dante Di Nanni”.

4. Oliver Guinet (“Gimmy”), ex-prigioniero di guerra francese, comandante della 48a Brig. Garibaldi “D. Di Nanni”, caduto presso Via A. Bertola, a Torino il 30 Aprile 1945; medaglia d’Oro al Valor Militare “alla Memoria”. In alcune fonti è indicato come vicecomandante della stessa Brigata.

5. Degni, secondo l’atto di nascita.

6. Cascina Alfiere, presso Ceresole d’Alba.

7. Si intende nella Repubblica Sociale Italiana.

8. Giuseppe Lusso, è impiccato lo stesso giorno in Piazza Umberto I, a Sommariva del Bosco, insieme al civile Onorino Toppan. Riconosciuto partigiano della 12a Div. autonoma “Bra”.

9. Qui vi è un po’ di confusione perché a Sommariva del Bosco sono impiccati Lusso e Toppan. Nella banca dati del partigianato piemontese nel sito dell’Istoreto, Toppan, con il nome di battesimo di Onorio, è invece riconosciuto come caposquadra partigiano appartenente alla 12a Div. Autonoma “Bra”.

10. Aerei leggeri da ricognizione e osservazione; quello tedesco era il Fieseler Fi-156 “Storch”.

Contenuti

Iscrizioni:
PER NON DIMENTICARE LE VITTIME
DEL
22 LVGLIO 1944

DASSANO MICHELE
DEGNO RVGGERO
FERRERO GREGORIO
MAROCCO TOMMASO
PETTINATI FLORINDO
TRINCHERO GIOVANNI

IL COMVNE DI CERESOLE D’ALBA
NEL II° ANNIVERSARIO DEL BARBARO ECCIDIO
Simboli:
Informazione non reperita

Altro

Osservazioni personali:
Coordinate Google Maps: 44.8005564, 7.8168065

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