120322 - Lapide ai Caduti dell’eccidio de La Casina – Chiassa Superiore di Arezzo

Le 7 vittime dell’eccidio della Casina, compiuto dai tedeschi nei giorni 23 e 24 giugno 1944, sono ricordate dalla lapide posta sul luogo della loro morte (anche se Fedora Laurentini fu colpita non molto lontano). Si tratta di una lapide completamente in pietra, di forma rettangolare, con i caratteri dell’epigrafe incisi sulla stessa. Accanto ai nomi dei Caduti è riportata la loro età. Affissa sulla parete esterna della Casina, un’abitazione privata ubicata sulle colline sovrastanti la Chiassa Superiore (Si raggiunge dal ponte della Chiassa, prendendo la via Guarniente tutta in salita, fino a che non spiana), poggia su due piedini in pietra. Al vertice della lapide, un motivo decorativo in rilievo adorna una piccola croce cristiana.

NOTA STAFF PIETRE: scheda aggiornata in data 22/06/2024

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Frazione Chiassa Superiore
Indirizzo:
località La Casina
CAP:
52100
Latitudine:
43.543192838992
Longitudine:
11.888894219056

Informazioni

Luogo di collocazione:
Parete esterna di abitazione privata
Data di collocazione:
Informazione non reperita
Materiali (Generico):
Pietra
Materiali (Dettaglio):
Pietra per l'intera lapide.
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Informazione non reperita
Notizie e contestualizzazione storica:
Il 22 Giugno 1944 una pattuglia di partigiani appartenenti alla XXIII Brigata Garibaldi “Pio Borri” sorprende nella casa di un contadino, in località Valloni (Arezzo), due soldati tedeschi. Questi si arrendono immediatamente senza manifestare la minima resistenza. Anzi, informano i partigiani che stanno aspettando altri loro camerati, anch’essi stufi della guerra e desiderosi di arrendersi.
Restano ad attenderli quattro garibaldini, mentre gli altri rientrano al loro accantonamento con i prigionieri. Purtroppo le cose non vanno come sperato. Giunti i tre tedeschi, all’intimazione di arrendersi, questi rispondono con le armi. Nel rapido scontro hanno la peggio restando uccisi.
L’indomani, 23 giugno, altri tedeschi giungono sul luogo dello scontro per recuperare i corpi dei commilitoni. Bruciano la fattoria e si danno a rastrellare la zona per catturare uomini in vista di una possibile rappresaglia. I più, venuti a conoscenza dei fatti, si sono dati alla fuga. Ne vengono acciuffati solo cinque, tra gli sfollati rifugiati nella chiesina dei Valloni, che hanno indugiato ad abbandonare la zona.
Sono condotti nella Fattoria della Torre e rinchiusi in una stalla, guardati a vista da due sentinelle. Il proprietario, un avvocato, cerca di perorare la causa dei prigionieri coinvolgendo due ufficiali. Riceve assicurazioni: al peggio saranno condotti al Comando germanico di Cortona. Intanto giungono anche i familiari. Tra questi Matteo Scortecci, calzolaio di Giovi (Arezzo), padre di Renato. E’ disperato. Dice che il figlio ha lavorato per i tedeschi. Ha i documenti che possono attestarlo.
Ma alla sera i 5 uomini vengono prelevati da tre soldati, incolonnati e portati via. Nessuno crede che saranno condotti a Cortona. Temono, invece, che possano fucilarli sulla piazza della Chiassa Superiore (Arezzo).
Poco dopo vengono udite ripetute raffiche di armi automatiche. Ormai è chiaro a tutti il drammatico epilogo della vicenda. Ma non sanno che il vecchio Scortecci ha individuato e raggiunto il mesto corteo sul luogo scelto per l’esecuzione esibendo il documento che dovrebbe aiutarlo a liberare il figlio.
L’indomani i familiari dei prigionieri si recano di nuovo alla Fattoria della Torre, non sanno ancora che i loro cari sono stati fucilati. Incontrati alcuni soldati chiedono se gli uomini sono stati portati a Cortona. La risposta è di quelle che non si vorrebbe mai ricevere: “Tutti kaputt!”. La disperazione e il dolore s’impadronisce delle donne che si mettono ad urlare.
Due giorni dopo, il 25 Giugno, un gruppo di persone con un carretto ed alcune casse trovano sull’aia della Casina 6 corpi privi di vita. Due sono abbracciati tra loro, la più giovane delle vittime si trova distante un centinaio di metri, fulminato nel vano tentativo di porsi in salvo. L’anziano Scortecci giace con vicino i documenti del figlio. Probabilmente è stato ucciso per la sua insistenza o perché scomodo testimone.
La Casina è stata data alle fiamme, così come la colonica di Rittovalle, dopo che entrambe sono state saccheggiate.
Le vittime sono: Ildo Dragoni, 35 anni (lapide 36); Armando Paglicci, 30 anni (lapide 33 anni); Matteo Scortecci, 69 anni ed il figlio Renato Scortecci, di 37 anni (o 33), a sua volta padre di tre figli; Santi Severi, di 59 anni (lapide 58) e il figlio Giuseppe Severi, di 17 anni (lapide 16).
Una settima vittima si aggiunge dopo alcuni giorni. Si tratta della giovane Fedora Laurentini, di 18 anni. Il giorno dell’eccidio della Casina si trovava ad un centinaio di metri di distanza, intenta a fare l’erba per le bestie. Udite le raffiche si era data a scappare, urlando, verso la propria casa dei Valloni. Alcune scariche l’avevano ferita mortalmente. I suoi lamenti erano stati uditi da alcune persone che l’avevano portata nella vicina Villa Fracassi. La mancanza di un medico e l’impossibilità di cercarlo per via della presenza dei tedeschi avevano segnato la sua sorte ed il 29 Giugno 1944, sebbene amorevolmente assistita, Fedora era morta.
Recenti studi attribuiscono la responsabilità dell’eccidio alla I Compagnia del Feldgendarmerie-Abteilung mot. 692.
Ildo Dragoni e Fedora Laurentini sono sepolti nel cimitero di Giovi (Arezzo).

Contenuti

Iscrizioni:
23 GIUGNO 1944
VITTIME INNOCENTI
DELLA FEROCIA TEDESCA
QUI
FURONO FUCILATI

DRAGONI ILDO DI ANNI 36
SCORTECCI MATTEO “ 69
SCORTECCI RENATO “ 38
PAGLICCI ARMANDO “ 33
SEVERI SANTI “ 58
SEVERI GIUSEPPE “ 16
LAURENTINI FEDORA “ 18
Simboli:
Croce cristiana in rilievo sul vertice della lapide, racchiusa in un motivo decorativo.

Altro

Osservazioni personali:
Informazione non reperita

Gallery