225397 - Monumento al Generale Antonino Cascino – Piazza Armerina (EN)

Il monumento al generale Antonino Cascino si trova nella piazza a lui dedicata a Piazza Armerina, è stato costruito su progetto dell’architetto piazzese Domenico Roccella, è dedicato esclusivamente al Generale Antonino Cascino (1862-1917) e ai soldati, tutti meridionali, della sua Brigata “Avellino” caduti sul Monte Santo in provincia di Gorizia. Su un pilastro centrale è posta la statua in bronzo di Cascino che guida le truppe militari rappresentate da otto soldati anch’essi in bronzo aggrappati sulle rocce del Carso e spronati nell’azione militare dalla famosa frase pronunciata dal generale “Siate la valanga che sale” incisa a lettere cubitali nella parte frontale del monumento.

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Indirizzo:
Piazza Generale Cascino, 18
CAP:
94015
Latitudine:
37.386422349843
Longitudine:
14.370919645369

Informazioni

Luogo di collocazione:
Al centro della piazza
Data di collocazione:
Maggio 1940
Materiali (Generico):
Bronzo, Marmo
Materiali (Dettaglio):
Basamento in marmo; statue in bronzo.
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Piazza Armerina.
Notizie e contestualizzazione storica:
Nel maggio del 1940 venne inaugurato il monumento costruito dall’architetto piazzese Domenico (Mimì) Roccella (1903-1946) e dallo scultore Alfredo De Marchis, in onore della Medaglia d’oro al valor militare della prima guerra mondiale Antonino Cascino (Piazza Armerina 14/09/1862-Quisca 29/9/1917).
Alla cerimonia era presente l’alto dirigente del Partito Fascista e grande mutilato di guerra Carlo Delcroix (1896-1977), medaglia d’argento al valor militare che fu tra i fondatori dell’Associazione Mutilati ed Invalidi di Guerra e che poi nel 1924 ne divenne il presidente.
Nato a Piazza Armerina (Enna) il 14 settembre 1862 da Calogero e Maria Grazia Franzone, Antonino Cascino fu allievo dell'Accademia militare di Torino, poi ufficiale d'artiglieria. Capitano nel 1890, frequentò la Scuola di guerra per ufficiali di Stato Maggiore, alternando poi il servizio al reggimento allo studio di problemi tecnici.
Ricordiamo la sua attività come insegnante di armi e tiro alla Scuola militare di Modena, la sua fitta collaborazione alle maggiori riviste militari nazionali e i suoi numerosi volumi sulle armi della fanteria, ma anche l'attenzione sempre desta per l'istruzione dei soldati, di cui abbiamo testimonianza attraverso pubblicazioni divulgative come il volumetto Pagine di storia d'Italia ad uso dei sottufficiali del 3°reggimento artiglieria (Bologna 1902) e lo studio biografico Il generale Enrico Cosenz (in Riv. militare ital., XLVII [1902], pp. 1709-47). Promosso maggiore nel 1905, fu poi insegnante di armi, tiro e fortificazioni alla Scuola di guerra. Tenente colonnello nel 1911 e colonnello nella primavera 1915, comandò il 3° reggimento di artiglieria pesante.
Nella prima fase della guerra mondiale fu destinato a comandare reparti del parco d'assedio, fino al maggio 1916, quando assunse il comando della brigata di fant. Avellino (regg. 231°-232°) di nuova costituzione col grado di colonnello brigadiere, subito tramutato in quello di maggior generale. Mise allora in rilievo doti di animatore ottenendo dai fanti della brigata (in maggioranza siciliani) dedizione, slancio e tenacia. La brigata Avellino, inquadrata nella 47ª divisione, fu destinata ad appoggiare l'offensiva italiana contro la testa di ponte di Gorizia nell'agosto 1916. Entrò in linea la notte tra il 7 e l'8 agosto sul Grafenberg, ebbe ragione dell'ultima resistenza austriaca e passò l'Isonzo la notte seguente, entrando in Gorizia con i primi reparti italiani (il C. ebbe il vanto di essere il primo generale a metter piede nella città). Subito dopo la brigata fu avviata contro le nuove linee austriache al di là di Gorizia e si dissanguò in vani attacchi sul monte San Marco tra il 10 e il 16 agosto. Fu poi inviata a presidiare la tristemente nota testa di ponte di Plava (settembre-ottobre 1916), quindi nuovamente a logorarsi sul San Marco, dove dovette subire il 14 novembre un vigoroso contrattacco austriaco, arrestato dopo tre giorni di lotta durissima. In pochi mesi la brigata aveva perso 56 ufficiali e 2.926 uomini, su circa 6.000.
Dal dicembre 1916 all'aprile 1917 la brigata Avellino, ricostituita con i complementi affluiti dall'interno, fu ancora a Plava. La 60ª divisione, di cui faceva ora parte, era destinata all'attacco del Vodice nell'offensiva di primavera; e il Cascino la preparò con cura estrema, occupandosi del morale dei suoi uomini e familiarizzando gli ufficiali con un plastico della zona. Il 14 maggio 1917 la brigata mosse all'attacco con il 2310 reggimento dalla testa di ponte di Plava e il 2320 su una passerella gettata sull'Isonzo; progredì lentamente sulle pendici del Vodice sotto un terribile fuoco di sbarramento e concorse potentemente alla conquista del caposaldo nemico. Nei pochi giorni in cui fu impegnata sul Vodice la brigata perse 115 ufficiali e 2.331 uomini; lo stesso Cascino fu lievemente ferito a un braccio mentre guidava l'azione delle sue truppe; venne decorato con una medaglia d'argento.
Dopo la battaglia Antonino Cascino fu promosso tenente generale ed ebbe il comando dell'8ª divisione, che comprendeva la sua vecchia brigata Avellino e la Forlì. Il brillante comportamento delle sue truppe nella battaglia di maggio gli valse un compito di punta in quella in preparazione per agosto. Il suo obiettivo era il Monte Santo, le cui pendici la 8ª divisione presidiò da giugno ad agosto; e ancora una volta il Cascino curò una preparazione morale e tecnica accuratissima, incitando i suoi uomini a raggiungere l'obiettivo come "una valanga che sale" al canto dell'inno di Mameli.
Il disperato valore dei fanti dell'8ª divisione non bastò però a piegare la resistenza austriaca: il 19 agosto 1917 sei colonne della brigata Avellino e cinque della Forli furono ributtate dal Monte Santo con altissime perdite. Il Cascino riportò i suoi all'assalto il giorno seguente, senza risultati immediati; ma nei giorni seguenti il cedimento di tutto il fronte austriaco sulla Bainsizza concesse agli italiani la conquista del Monte Santo.
Restava il monte San Gabriele: e l'8ª divisione fu inviata a dissanguarsi ulteriormente contro il nuovo obiettivo. Il 15 settembre, mentre il Cascino dirigeva l'offensiva dal suo posto di comando, troppo esposto, fu ferito alla coscia da una scheggia di granata; la ferita, trascurata fino a sera, si rivelò ormai grave per il sopraggiungere dell'infezione, tanto che il Cascino morì il 29 settembre 1917 nell'ospedale di Quisca ed ivi fu sepolto. Alla sua memoria fu decretato il conferimento della medaglia d'oro con la seguente motivazione: “Nobile figura di condottiero e di soldato, diede costante e mirabile esempio di ardimento e di valore alle truppe della sua divisione, recandosi a condividere con esse, sulle prime linee, tutte le vicende della lotta. Gravemente ferito da proiettile nemico, volle ancora mantenere il comando, finché ebbe assolto il suo compito della giornata, stoicamente sopportando il dolore della ferita, che poi lo condusse alla morte”.
- Monte Santo, 15 settembre 1917.
Tra le opere principali: Armi da fuoco portatili, Roma 1897; La celerità del tiro e il munizionamento della fanteria, Modena 1899; Il tiro, gli esplosivi e le armi della fanteria, Bologna 1901; Il concetto di efficacia nel tiro di fucileria, Roma 1910; Note sul tiro di fucileria, ibid. 1913.

Contenuti

Iscrizioni:
Lato frontale:
SIATE LA VALANGA CHE SALE
CASCINO

Lato sinistro:
COMBATTERE E SE OCCORRE MORIRE. E’ IL MOMENTO DEL SANGUE CHE DA’ IL MOVIMENTO ALLA RUOTA SONANTE DELLA STORIA

Lato destro:
ET CELERITATE ET COPIIS QUID POPULI ROMANI DISCIPLINA ATQUE OPES POSSENT CESARE
Simboli:
Non sono presenti simboli.

Altro

Osservazioni personali:
Le notizie sul monumento e la contestualizzazione storica sono tratte dal sito www.cronarmerina.it e dalla voce “Antonino Cascino” di Giorgio Rochet – Dizionario Biografico degli Italiani -Volume 21 (1978), dal sito www.treccani.it.

Sul monumento è incisa la frase di Mussolini, tratta dal discorso che l’allora socialista-interventista e futuro dittatore tenne a Parma nel 1914 e la cui firma, nel riquadro rosso, fu cancellata dal monumento nel dopoguerra: “COMBATTERE E SE OCCORRE MORIRE. E’ IL MOMENTO DEL SANGUE CHE DA’ IL MOVIMENTO ALLA RUOTA SONANTE DELLA STORIA”.
Sul lato destro c’è la frase in latino tratta dal De bello gallico di Cesare:”ET CELERITATE ET COPIIS QUID POPULI ROMANI DISCIPLINA ATQUE OPES POSSENT CESARE” (traduzione italiana “CHE LA FORZA CHE VIENE DALLA RAPIDITA’ E DALLA SPADA SERVA DA INSEGNAMENTO PER LA DISCIPLINA DEL POPOLO ROMANO”).

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